di Gianni Rojatti [user #17404] - pubblicato il 31 agosto 2020 ore 10:00
Un giro sulle montagne russe tra progressive, ottimo pop e impennate tra punk e djent. Il tutto sorretto da un songwriting di livello e prestazioni strumentali eccellenti, trainate dal batterismo alieno di Marco Minnemann.
"McStine & Minnemann" è un disco da ascoltare assolutamente.
Marco Minnemann non ha bisogno di grosse presentazioni. È uno dei batteristi più in vista degli ultimi 15 anni, un fenomeno che ha suonato con Paul Gilbert, Joe Satriani, Mike Keneally, Steven Wilson... Ma è soprattutto il batterista degli Aristocrats terzetto magico con Guthrie Govan e Bryan Beller che dieci anni fa ha ridato luce e energia a un genere che sembrava stanco e impolverato come la Rock Fusion.
Da pochissimo Marco ha pubblicato un nuovo album, frutto del progetto a quattro mani con il cantante e polistrumentista Randy McStine.
Il disco è un gustoso lavoro progressive dove i due artisti si sono diverti a mescolare senza ritegno tutte le loro influenze e passione musicali. Un esempio? “Falling From Grace” seconda traccia del disco, è un pezzo in cui, sorretta da una linea di basso punk, c’è una struttura e un arrangiamento nel quale si tengono a braccetto Police e Dream Theater fino a quando, nelle voci dello special, pare che la puntina del vinile scivoli su un disco dei Manhattan Transfer ma con Minnemann che scatena l’inferno in sottofondo.
E tutto il disco procede così: tra richiami ai King Crimson più pop di Three of a Perfect Pair, riffing djent modernissimi e aperture melodiche scritte da chi ha un poster gigante di Peter Gabriel appeso in camera.
Ma non bisogna cadere nell’errore di liquidare il disco come un virtuoso show off citazionistico di scrittura e arrangiamenti: a rendere coeso il tutto e dare autorevolezza di vero disco a questo McStine & Minnemannè la qualità del songwriting. Le canzoni stanno in piedi per la forza delle loro melodie e coerenza delle loro strutture: gli arrangiamenti folli e camaleontici sono solo e semplicemente il valore aggiunto che rende l’ascolto di questo disco un giro sulle montagne russe.
Un album consigliato a tutti cha farà gongolare soprattutto i musicisti più disinibiti e curiosi; un album che continua sul tracciato di quello che tante altre grandi band e artisti stanno facendo da anni: Umphrey’s McGee, Devin Townsend, Godsticks…
Da ultimo, meraviglioso ed encomiabile il peso artistico e strumentale di Marco Minnemann: per un musicista del genere sarebbe facilissimo barricarsi all’interno di un album di basi asettiche e stilisticamente conformi ai cliché del genere per sfogare le sue possibilità strumentali aliene. Invece Marco, pur non rinunciando a un solo trentaduesimo dei sui chop, ci costruisce attorno un disco di vera musica, con canzoni, idee, suono e gusto. In una riga, la differenza tra chi suona uno strumento e chi invece si sforza di fare musica.