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Fare i dischi. E poi studiare.
Fare i dischi. E poi studiare.
di [user #17404] - pubblicato il

Ben venga chi, ancora acerbo, si lancia nel suo primo live o registrazione. Si sottoporrà a critiche che diventeranno un incentivo a migliorare e la chiave di lettura più veritiera delle lacune del suo playing. Parola di Ellade Bandini che confessa di aver scoperto rudimenti basilari della batteria con già ottanta dischi registrati sulle spalle.
Studiare è importante. E non si dovrebbe mai smettere di farlo. 
Ma serve da subito avere coscienza che non esiste un livello di preparazione perfetto, solo una volta raggiunto il quale, si è consacrati  musicisti. Altrimenti il rischio è di non sentirsi mai pronti e, a fronte di questa insicurezza, rimandare all’infinito il passaggio da studente a musicista attivo. Paradossalmente, più uno migliora, più al contempo acquisisce consapevolezza di quante cose nuove ci sarebbero ancora da imparare. E allora, invece di iniziare a suonare continua a studiare. E non è affatto la stessa cosa. 
Pensate di che capolavori saremmo privi se, al momento di incidere il primo disco, Angus Young avesse deciso di posticipare le registrazioni, resosi conto di essere una schiappa con la chitarra acustica. O se Nuno Bettencourt avesse preferito, anziché fondare gli Extreme, ritagliarsi un paio d’anni per imparare a leggere la musica, cosa che non sapeva minimamente fare. Il batterista degli U2 era a stento maggiorenne quando incisero il primo disco. Ed era scarso sul serio. Che sciagura se anzichè tapparsi in sala prove e in studio a preparare Boy si fosse messo a studiare notte e giorno.
 
Fare i dischi. E poi studiare.
 
Per questo emoziona sentire uno dei più grandi batteristi italiani raccontare di aver inciso quasi ottanta dischi senza conoscere il paradiddle, rudimento oggi considerato imprescindibile per ogni batterista. Un racconto che ci sprona a ricordare che la tecnica, la preparazione musicale, la teoria sono e devono restare semplici strumenti per agevolarci in quella che deve essere la prima urgenza di un musicista: l’espressione e la creazione artistica.
Anzi, dal racconto di Bandini esce una chiave di lettura diversa. Bisognerebbe partire dal suonare e servirsi poi dello studio per, man mano, colmare i limiti e le difficoltà che si incontrano. Quindi, ben venga chi si lancia nel suo primo concerto o nel suo primo demo anche se ancora acerbo, goffo e zoppicante nella proposta espressiva. Si sottoporrà a critiche e stroncature che diventeranno un incentivo a migliorare e soprattutto, la chiave di lettura più veritiera delle lacune del suo playing. Al contrario, chi insegue una perfezione e una preparazione totale posticipando sempre il suo debutto, si negherà la possibilità di testare sul campo la validità della sua musica. E che amarezza sarà per lui scoprire, dopo decenni di studio matto e disperatissimo, di suonare senza groove, di non riescire ad ascoltare gli altri e di non avere la sensibilità per capire quando è il momento di suonare sedicesimi o quando la cosa migliore è non suonare affatto. Perché questi sono talenti, sensibilità che non si possono studiare ma solo affinare suonando sul serio. Suonando assieme agli altri.
 
ellade bandini lezioni
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