I per allontanarsi dalla dipendenza intesa come malattia, 12 scalini da salire uno dopo l’altro per uscire dal tunnel. Il primo è la presa di coscienza della malattia, del fatto che l’alcolista non riesce da solo a gestire il bere. Non è facile ammettere la propria sconfitta ed è per questo motivo che si condivide con altri la propria malattia. Benchè si parli di un Potere Superiore, non si propone una forma di religione, ma l’apertura della mente sul fatto che ci sia qualcosa di più grande e forte della volontà del singolo soggetto.
Per quanto riguarda la parte testuale l’opera fa esplicito riferimento alla riabilitazione, con particolare attenzione alle sensazioni ed emozioni che l’autore ha provato durante il periodo di cura. Inevitabilmente le liriche sono legate al lato umano della terapia, a quei comportamenti che il soggetto/paziente deve mettere in atto per migliorare la propria condizione, così da avanzare nella terapia passo dopo passo ed essere da esempio per i nuovi compagni di viaggio. Le parole di Mike Portnoy sono sincere, parole di un uomo che ha compreso di essere stato sopraffatto dall’alcool e vuole definitivamente uscirne, vuole ripulirsi di questo demone che di fatto gli impedisce di vivere.
Analizzando i testi, notiamo come Portnoy sia totalmente schiavo dell’alcool e come abbia preso atto della propria condizione:
“Astuto, sconcertante, pieno di potere
Schifato, stanco e messo da parte.
Accecato, senza controllo
non riesco a scappare,
questa prigione di vetro mi lascia fragile e logoro.
Non la posso più sopportare.
Un disperato tentativo di fermare la progressione (di quella condizione) in ogni modo
per lasciare quest’ossessione, la mia vita qua,
in questa prigione di vetro, un posto che chiamavo casa.”
Si comprende la volontà dell’autore di fuggire da quella prigione che lo tiene rinchiuso, incatenato a una condizione anormale che evidentemente non riesce più a gestire.
E’ importante anche tenere in considerazione i rapporti con i colleghi del gruppo; la band aveva da poco terminato una serie di live shows importantissimi a supporto dell’album “Scenes from a memory” e Portnoy iniziava a dare evidenti segnali di cedimento fisico e mentale e la tensione tra i musicisti aumentava giorno dopo giorno, anche a causa del fatto che oltre a essere il batterista della band Portnoy ha rivestito il ruolo attivo della gestione degli eventi live, oltre che il quasi controllo totale circa la direzione musicale da intraprendere in fase di registrazione dei dischi in studio. Una sorta di lavoro da tuttofare che col tempo ha contribuito a schiacciarlo.
Nel tempo, tutte queste importanti responsabilità hanno chiesto il conto, manifestandosi apertamente:
“Adesso è ora di affrontare il problema
che c’è in mezzo ai tuoi occhi.
Voglio guarire la tua coscienza
facendo un cambiamento
per aggiustare quest’anima morente.
Ossessioni possessive, giochi da bambino.
Risentimenti pieni di vendetta
superando le colpe.
Vivevi una vita di decadenza
recitando, senza pensare alle conseguenze
mentre sputavi su chi era più importante”.
L’autore scrive in terza persona, è l’Alto Potere che gli impone di affrontare il problema.
Il Potere è amico, infatti:
“Vieni qua amico mio,
farò si che questa tortura finisca,
ma non puoi attraversare tutto da solo.”
E’ quindi il soggetto che si affida all’Alto Potere:
“Aiutami, salvami, guariscimi,
non riesco a scappare da questa prigione da solo.
Ascoltami, credimi, prendimi,
sono pronto a scappare dalle mura di questa prigione.”
Una volta compresa la radice di tutti i mali (The root of all evil), il paziente è finalmente pronto:
“Sono abbastanza orgoglioso perché voi possiate chiamarmi arrogante.
Sono abbastanza avaro perchè voi mi etichettiate come un ladro.
Sono abbastanza arrabbiato perché possa far del male ad un uomo.
Sono abbastanza crudele perché possa non sentire alcun dolore.
Non ho mai potuto avere nemmeno una parte della mia vita,
devo arrivare al cuore di questa situazione,
la radice di tutti i mali è cresciuta in me.
Prendetevi tutto me stesso ed aiutatemi a trovare la forza
per affrontare un nuovo giorno”.
Ora, nella consapevolezza di ciò che è stato, l’autore ripercorre a ritroso la propria vita, quasi stesse leggendo un libro:
“Fisso la pagina vuota davanti a me,
tutti gli anni di rovina mi attraversano la mente.”
Il libro della rinascita dell’autore inizia a prendere forma:
“Il dolore travolgente ora mi assorbe,
mentre la penna comincia a tracciare il mio oscuro passato.”
E arriva implacabile il pentimento per il proprio passato e per quei rapporti umani deteriorati a causa della dipendenza.
“Segnali in tutta la mia vita
che avrebbero dovuto avvertirmi
di tutti i torti che ho fatto
per cui devo pentirmi”.
Ecco finalmente la presa di coscienza dei propri errori, l’ammissione di colpa per ciò che è stato:
“Un tempo pensavo fosse meglio rimpiangere le cose fatte
che quelle non fatte.
A volte devi essere in torto e imparare a tue spese.
Proprio quando avrai finito di temporeggiare sarai salvo.
Fino a quel momento non credevo di aver fallito in qualcosa
e mi sentivo come se avessi fallito con la vita,
con i miei figli,
con me stesso.
E’ molto difficile da affrontare.”
E’ quindi ancora l’Alto Potere a parlare:
Sei malato solo come i tuoi segreti,
ma la verità ti farà libero.
La verità è verità
e l’unica cosa che puoi fare è viverci”.
A questo punto il soggetto ha quasi completato la sua opera di rinascita, ha raggiunto l’obiettivo ed è certo di essere finalmente libero:
“La libertà chiama il mio nome,
la serenità mi mantiene sano di mente,
la felicità allevia il dolore.
Sono onesto nel vedere il mio essere aperto ad altre vie
Nella volontà di capire.
Giustizia, ma non giudice.
Cortesia per i difetti altrui,
gentilezza, non è difficile.
Autocontrollo della lingua e della penna.
Guarda allo specchio, cosa vedi?
La fortezza distrutta che mi teneva prigioniero.”
Poi si rivolge all’Alto Potere, in una preghiera di abbandono:
“Tieni tutto di me,
i desideri che una volta bruciavano nel profondo
mi aiutano a vivere oggi
ed aiutano a darmi la grazia
per compiere la tua strada.”
Fino al completamento dell’opera, al diventare maestro per chi verrà, per altre anime perse nel tunnel della dipendenza:
“Io sono responsabile.
Quando chiunque, ovunque
avrà bisogno d’aiuto
voglio che la mia mano sia lì.”
Chiudere gli occhi durante lo scorrere dell’opera trasporta l’ascoltatore all’interno di una stanza di fantasia, nella quale non è difficile immaginare più persone che si incontrano, si conoscono, si raccontano l’uno dopo l’altro esperienze e sensazioni unite tra loro dal filo comune della dipendenza dall’alcool. Sopra tutti si erge la figura dell’Alto Potere, la figura che funge da terapeuta, ma che guida il gruppo nella strada da seguire per ritrovare se stessi. Questa, come detto all'inizio, non si pone come una figura religiosa, ma come un vero e proprio stato mentale portato a riconoscere che vi sia qualcosa di più grande di noi a indicarci la strada, sovrastante la volontà del singolo.
Trattandosi di un concept, le canzoni sono musicalmente collegate tra loro, nell’ottica di un procedimento che avanza, ma non dimentica mai di ritornare su quanto appreso in precedenza come in una sorta di flashback (si noti, riguardo questo lato dell’opera, la somiglianza con il concept “Scenes from a memory” dei Dream Theater, nel quale i flashback si manifestavano nei protagonisti dell’opera nei salti temporali tra passato e presente e viceversa). La terapia dei 12 passi prevede di fatto un avanzamento e miglioramento dello stato mentale di ogni paziente, il quale prende lentamente coscienza del proprio io sconosciuto, dei propri errori e del cambiamento che si sta manifestando, nell’ottica di un rinnovamento che lo porterà a una nuova vita e diventando a sua volta un insegnante, un portavoce dello spirito vitale dell’Alto Potere nei riguardi dei nuovi pazienti che subentrano nel gruppo. Nello specifico dell’opera ogni canzone si collega alla precedente attraverso variegate parti strumentali, tutte riprese nella conclusiva The shattered fortress in una sorta di riassunto delle precedenti tracce.
In conclusione si può affermare che questa opera rock divisa in atti sia la trasposizione delle sensazioni e degli stati d’animo di un uomo nuovo, delle sue paure e dei suoi errori fino al completamento di un ciclo della propria vita, da lui stesso ritenuto buio nonostante moltissimi successi in campo musicale. Altri successi arriveranno, fino all’epilogo di una storia musicale durata 25 anni.
Nel 2009 infatti Mike Portnoy decide di abbandonare la band che lui stesso ha fondato e alla quale ha dato il nome. Le tensioni nel gruppo però non sono evidentemente mai sopite e i fans della band questo lo sanno benissimo. Da una parte l’estro del batterista è stato motore trainante dei Dream Theater tra dischi e tour, dall’altra la sua voglia di eccedere (senza dimenticare i numerosi progetti paralleli alla band madre) hanno creato uno stress palpabile fino all’implosione del 2009 e alla successiva, triste notizia.
Indubbiamente un genio incontenibile, una fonte inesauribile di idee, ma anche un animo travolgente difficile da gestire, soprattutto in un collettivo di cinque musicisti. Molti hanno creduto che questa decisione fosse strettamente legata alla fine della terapia e alla guarigione dalla dipendenza dall’alcool, ma Portnoy ha più volte dichiarato che la sua fase di terapia di gruppo è terminata nel 2001 e nulla ha avuto a che fare con tale drastica decisione.
Forse anche questa scelta fa parte di un rinnovamento vitale quotidiano in “Constant motion”, tanto per citare i Dream Theater.
Un fatto è certo, anche per Mike Portnoy la dura legge del rock ha vinto dando vita a una grande opera attraverso dei drammi personali.